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Ai miei amici ulivi

Ai miei amici ulivi

 

Siete voi, cari alberi ulivi,

i miei amici prossimi,

siete più vecchi di me

e nello stesso momento anche più giovani,

siete nati secoli fa e

vivrete ancora per secoli

dopo che io sarò morto.

 

Sapete superare i colpi più duri della natura,

come una siccità annosa

o come in quell’inverno del 1985/86

quando si salvarono dal gelo

soltanto più i vostri ceppi,

dai quali però un anno dopo

spuntarono germogli verdi nuovi.

 

Dalle vostre radici profonde

siete capaci di attingere dalla terra

una vitalità eterna

che si rappresenta nel vostro vestito verde d’argento

come una gioventù che si rinnova sempre

e che voi  ci presentate nelle olive

l’olio come un dono della luce d’oro.

 

Siete figli della diligenza,

della perseveranza,

della tenacia dei contadini liguri

che vi hanno preparato una culla a fascia

con le pietre fatte arrivare sulle spalle degli uomini

e con la terra portata nelle ceste dalle donne

e vi hanno coltivato e curato con i loro cuori.

 

Siete anche figli originali del mediterraneo,

figli di un clima unico al mondo,
di una piccola striscia

tra mare e montagne,

e avete circondato, protetto, ornato anche la culla

della nicchia a Betlemme

nella notte della nascita del SIGNORE.

 

Siete stati i testimoni delle sue preghiere,

della sua meditazione,

della sua sofferenza sovrumana,

avete bevuto il suo sudore sanguinoso

e siete stati presenti senza poterlo aiutare

nella notte della sua cattura

dagli uomini di questo mondo.

 

Siete stati voi a custodire

la sua tomba nel giardino,

a partecipare all’alba

della sua risurrezione dalla morte

e siete stati voi ad accompagnare gli apostoli e San Paolo

quando si diffondeva

il SUO vangelo nel mondo.

 

Non avete mai smesso di regalare agli uomini

il frutto della SUA LUCE,

il vostro oro liquido,

la vostra vita verde,

siamo invece noi che ci siamo allontanati

con la nostra coscienza

dal vostro servizio umile.

 

Siamo noi che cerchiamo oggi

l’essenza del vostro sacrificio

nel supermercato,

siamo noi che abbiamo abbandonato

le vostre terre e le vostre radici

e che abbiamo lasciato crescere intorno a voi

i tentacoli soffocanti dell’edera, della vitalba e dei rovi.

 

Siamo anche noi – e non solo i colpi della natura –

che lasciamo crollare i muri di sostegno dei vostri ceppi,

e sfruttiamo le fasce rimaste

con diserbanti, trattamenti chimici e con una concimazione scatenata

siamo noi che vi facciamo produrre senza riposo

che guardiamo sempre più alla vostra resa

e sempre meno alla vostra nobiltà e dignità.

 

I miei cari amici ulivi,

mi chiedo se noi una volta riusciremo
a liberarvi dai rovi, dalla vitalba, dall’edera,

a ricostruire con le pietre di una volta

i letti delle vostre radici

a ri-coltivarvi con tutto il rispetto

verso la vostra vita storica.

 

Mi chiedo se possiamo trovare
una relazione nuova verso di voi,
una comunicazione fraterna invece di un rapporto economico soltanto,

con tutta la stima della vostra importanza eterna,

della vostra crescita individuale,

della vostra rappresentanza vitale,

della vostra presenza personale.

 

Mi chiedo se possiamo creare questa favola
magari soltanto in un parco,

in un angolo semplice del mondo mediterraneo ligure,
fatto come un presepe protetto e vivente,

e mi chiedo con tanta ansia in cuore

se potremo preparare e custodire il vostro giardino

anche per un momento del ritorno del VOSTRO e del NOSTRO SIGNORE.

 

 

27. 10. 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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