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ISTITUTO COMPRENSIVO G. GABRIELLI PIEVE DI TECO SCUOLA ELEMENTARE STATALE DI AQUILA D'ARROSCIA UNA FIABA PER CRESCERE Pensata e scritta dagli alunni di classe IV: Barone Monica - Cha Marco - Massa Davide - Ricotta Giorgia e classe V: Aicardi Fabio - Cha Davide - Cha Manuel - Massa Mirko - Zunino Matteo C'era una volta................ un quasi ragazzo come noi. Si chiamava Giovanni ma, come capita sempre al nostro paese, già dai primi giorni di vita la mamma e la nonna cominciarono a chiamarlo "Nanin". Anche suo padre, che lo voleva chiamare Giuanin, si rassegnò a questo diminutivo. Viveva con la nonna, la mamma, il papa ed una sorellina di 3 anni, Tilde, in un paesino a mezza costa. Si svegliava al mattino presto, quando nella sua povera casa si diffondeva il profumo delle "pelate", le castagne bollite che, versate in un grosso piatto al centro del tavolo, costituivano la colazione per tutta la famiglia. La nonna e la mamma invitavano i bambini a ringraziare il Signore per quel cibo, poi ognuno era pronto ad iniziare il proprio lavoro. Nanin correva a prendere una cartella di cartone pressato, il suo libro, un quadernino a righe e uno a quadretti, l'astuccio, la penna di legno laccato ed due altre che si era costruito da solo con i ranetti di sambuco. Non aveva colori e nemmeno inchiostro perché il maestro li custodiva gelosamente nel suo armadietto e li avrebbe regalati agli scolari più meritevoli. La gomma e la matita andò a prendersele tra i giochi della sorellina. Quel giorno Nanin era sicuro di battere i suoi compagni: sapeva a memoria tutte le tabelline, le regole per calcolare il perimetro e l'area dei poligoni, era però incerto sui verbi poiché gli venivano meglio in dialetto. Il maestro gli voleva bene perché era buono, gentile con i compagni, rispettoso verso l'insegnante e verso le "cose" della scuola. Non poteva che essere così: Nanin era nato forse nella famiglia più povera del paese, ma quanto bene si volevano fra loro quelle persone! Quel giorno Nanin vinse veramente la gara di tabelline, quella delle regole ed anche quella dei verbi. I pastelli furono suoi, e, pieno di gioia, si sentiva impaziente di correre a casa per farli vedere ai genitori e per disegnare e colorare con Tilde. Uscito da scuola, fece di corsa il tragitto ed arrivò con il fiatone a casa. Entrando esclamò: "Ho vinto, ho vinto! I pastelli sono miei!" Si aspettava le congratulazioni di tutti ...... invece la nonna aveva il viso solcato dalle lacrime, il sorriso della mamma sembrava una smorfia e papa stava seduto zitto al tavolo con una lettera in mano. Nanin li guardò tutti ad uno ad uno mentre Tilde stava aggrappata alla gonna della mamma. Cos'era successo? Il rè aveva chiamato suo padre a combattere la guerra che aveva dichiarato. Era mai possibile far combattere una guerra ad un padre di due figli? Evidentemente sì. Il padre di Nanin il giorno dopo partì: abbracciò i bambini, la moglie e la mamma e raccomandò al ragazzo di far lui "l'uomo di casa ". Come furono faticose le giornate che seguirono la partenza di papa. Nanin si alzava all'alba e svolgeva nella stalla le mansioni di un uomo adulto: ammucchiava il letame, abbeverava le mucche, distribuiva il fieno e, solo quando la mamma arrivava con i bidoni a mungere, rientrava in casa a fare una veloce colazione. Si lavava e correva a scuola. I compiti? Le lezioni? Chi ci pensava più! Mentre il maestro spiegava, Nanin pensava a papa, lo vedeva vestito da soldato, con un fucile su un carro armato e, se qualche compagno non Io richiamava, nella sua mente si formavano immagini di feriti, di sangue, di morti...... Altre volte invece progettava sistemi per lavorare con meno fatica e........non era più bravo a scuola come prima. Stavano arrivando le vacanze di Natale ma non c'era nessuna gioia, nemmeno a pensarci. Nanin sapeva già che le avrebbe trascorse sugli olivi ad abbacchiare; aveva già cercato i lunghi bastoni che papa usava e gli tremavano le gambe ad immaginarsi su quei rami nodosi. Era sicuro di non essere capace a stare in equilibrio senza aggrapparsi. Il primo giorno di vacanza, mentre Nanin e la mamma preparavano grandi lenzuola vecchie per distendere sotto gli olivi, arrivò il postino con un viso triste. Fece firmare la mamma su un libretto e le consegnò un telegramma. Se alla madre tremavano le mani, a Nanin pesavano anche le gambe, tanto che faticò ad entrare in casa dietro di lei. Aprirono il telegramma: il rè d'Italia comunicava che il loro caro era morto nell'adempimento del proprio dovere di difendere la Patria. Non ci sono parole per descrivere il dolore di quella famiglia! Per le donne di casa forse era più facile confidarsi e piangere. Nanin, quando sentiva più forte la mancanza del papa, andava nel fienile e stringeva forte un cavallino di legno che lui gli aveva intagliato. Un giorno, quando la loro disgrazia non era più una novità e i loro compaesani non accorrevano più ad aiutarli, Nanin, stanco morto, disse al cavallino: « Non è giusto! lo non voglio più crescere» Come se quel giocattolo contenesse tutto I' amore che il padre provava per lui e, per consolarlo, esaudisse il suo desiderio, da quel giorno Nanin non si allungò più nemmeno di un centimetro. I giorni trascorrevano veloci in mille lavori da fare, passavano i mesi e la scuola terminò, li ragazzo aveva ormai le responsabilità di un uomo: tutti i prati da falciare, il fieno da raccogliere, il grano da mietere, gli orti da pulire e seminare. La nonna, poi, era improvvisamente invecchiata: le mancava tanto quell'unico figlio che la guerra le aveva rubato. Si stancava facilmente e, a fatica, riusciva appena ad accudire la casa. La mamma e Tilde, invece, accompagnavano in campagna Nanin e cercavano di aiutarlo. Passò l'estate e passò un altro inverno. I compagni di Nanin erano cresciuti, la domenica all'uscita da messa, guardavano le ragazze, ridacchiavano, si divertivano. Prendevano in giro il ragazzo che, al contrario, correva subito a casa. La guerra non era ancora finita, anzi ............ forse ilbrutto doveva ancora venire. Il capo del governo era stato arrestato per ordine del rè. I nuovi ministri firmarono l'armistizio e tutti si trovarono coinvolti in una guerra senza confini, tutti contro tutti. Anche il paese di Nanin conobbe le ingiustizie e la violenza della guerra. I partigiani, che si erano rifugiati sui monti, chiedevano ai contadini carne, uova, patate, olio e prendevano, a volte, anche i vitelli nelle stalle. I tedeschi, accompagnati dai collaboratori del posto, venivano alla ricerca degli "imboscati" e minacciavano spesso di radere al suolo tutto il paese. Nanin, dopo aver lavorato duramente, rincasava stanco, affamato e sfiduciato. Quando la nonna si aggravò, a malincuore confessò al suo cavallino: «Non vorrei, ma devo crescere ancora un po'» Diventò così proprio un bei ragazzo. Sentiva e viveva il grande disagio di dover pensare alla sua famiglia e sperava che la guerra finisse presto, prima di compiere 18 anni. Al contrario dei suoi amici, non sognava ne la divisa militare ne la vita avventurosa sulle montagne. Pensava poi che. con un fucile in mano, mai sarebbe stato capace di uccidere. Aveva aiutato alcuni partigiani a nascondersi e aveva procurato loro anche del cibo. Non riusciva però a odiare i tedeschi, non ne aveva paura: leggeva nei loro occhi tristezza, nostalgia di casa, dispiacere per essere costretti a comportarsi così duramente. Un giorno, mentre falciava il fieno in un prato, sentì sparare nei campi lì vicino e poi nei pressi del paese. Abbandonò il lavoro e corse verso casa: i tedeschi sbraitavano in un italiano appena comprensibile che, sicuramente, i partigiani erano stati protetti dagli abitanti del posto e minacciavano terribili ritorsioni.Un soldato ferito stava vicino alla fontana e cercava di pulirsi. Nanin entrò nel fienile, prese il cavallino e gli sussurrò: « Fammi crescere, fammi crescere, perché gii altri hanno tutti paura». Prese disinfettanti e bende e. calmo solo in apparenza, si avvicinò al soldato ferito. Gli pulì la gamba colpita dalla pallottola, la disinfettò e la bendò. I tedeschi lo guardavano meravigliati. Nanin alzò gli occhi sul soldato che aveva lo sguardo incerto e disse: « Nel nostro paese siamo abituati ad aiutare chi ha bisogno. Noi non chiediamo a nessuno la carta d'identità o per che cosa combatte. Sarebbe bello che tutti combattessero per la pace». Era proprio Nanin quel ragazzo così grande e così coraggioso? Quel ragazzo preso sempre in giro dai suoi coetanei? Sembrava il più alto, il più bello di tutti. Anche i tedeschi lo guardavano con ammirazione, salirono sulle loro camionette e se ne andarono borbottando: « Bravo ragazzo!» Nanin non si sentiva un eroe, ma lo era, perché chi combatte anche piccolissime battaglie affinchè tutti siano rispettati, chi fa il proprio dovere ogni giorno, è un eroe anzi, un Eroe "con la E maiuscola." |