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Perché un Parco delle FAVOLE?
Lupo

Perché questo progetto si chiama “Parco delle FAVOLE”?

 

Lungo la costa del ponente ligure viviamo in un mondo di bellezza, di luce, di divertimenti e di benessere per i nostri sensi e chi non può vivere sempre qui, cerca di passare almeno una vacanza in questo paradiso dal sorgere del sole tra palme e fiori.

 

Verso il tramonto del sole di questa vita esiste però un altro mondo, un mondo parallelo: Il mondo dell’ubàgu.

 

Questo mondo è nascosto, non perché è difficile raggiungerlo, ma perché non è facile apprezzare il suo valore, scoprire il suo senso. Rispetto alla riviera del mare qui non c’è niente, anzi, ancora meno di quello che uno spera di trovare andando verso l’entroterra. Perché?

 

La vita al mare è inevitabilmente cara.

Più che ci si allontana dalla zona rivierasca altamente apprezzata, meno si paga, ad esempio, per la casa. Perciò la gente, soprattutto  forestiera, arriva fino a 30 km verso l’entroterra a comprarsi una casa meno costosa per starci di notte, mentre di giorno si va a lavorare e a partecipare alla vita in riviera.

 

Si costruiscono le case con un massimo di accorgimenti tecnologici per ovviare ai disagi della distanza dal mare, come la presenza di umidità, freddo, vento con impianti di riscaldamento regolabile a distanza, piscina, forno all’aperto, prato inglese, illuminazione dei giardini e dei terrazzi, impianti elettronici ecc. Chi passa dice, come hanno ristrutturato bene i ruderi dei vecchi contadini. Praticamente dice: Come sono raffinati i nuovi proprietari di oggi e come erano primitivi gli abitanti poveri di una volta. È proprio vero?

 

Il mio vicino di casa è cresciuto nella sua abitazione in una camera con finestre senza vetri, solo uno straccio di un sacco vecchio era applicato davanti. Mi raccontava, quando nell’inverno nevicava, entravano i fiocchi di neve dentro al suo letto. Oggi là si trovano  finestre di plastica, ermeticamente chiuse con doppio vetro, che non lasciano più entrare né aria né acqua nell’abitazione dei nuovi proprietari che vengono per passare il tempo delle vacanze.

 

Lo stesso vicino è cresciuto con un disagio per il nostro tempo non più accettabile, neanche immaginabile: faceva parte dell’esercito degli alpini che nella seconda guerra mondiale sono stati mandati in Russia per la battaglia al fiume Don, che dall’inizio rappresentò una impresa fallita. Arrivato là aveva solo la possibilità di arrendersi in prigionia o cercare la sua fortuna nella fuga. Partì nel pieno dell’inverno, attraversò a piedi tutto il paese ghiacciato del nemico ed arrivò dopo tre mesi a casa sua a Montecalvo.

 

Non lo so, se i nostri figli, che facciamo crescere con tutti gli agi possibili, troveranno nel futuro facilmente le forze per affrontare le sfide di un simile destino ostile. Speriamo bene, che non sia necessario. Invece è gia un dato di fatto del nostro tempo, che spesso un giovane, che si trova in difficoltà sia di salute, sia economiche, non riesce a liberare le forze in sé per superare questi ostacoli.

 

Torniamo nel mondo nascosto dell’ubàgu, dove oggi non crescono più figli dei contadini e soltanto gli ultimi dei vecchi  abitanti stanno d’inverno in cucina davanti all’unica stufa accesa in casa. Torniamo nel mondo parallelo dell’ubàgu che esiste oggi come ieri e che offre ancora la possibilità di affrontare situazioni esistenziali e di trovare in sé forze sconosciute, forze che sembrano favole per chi non si mette personalmente in contatto con questa zona di terra tra mare e monti.

 

Finché una persona sta bene, non ha bisogno di cercare forze nuove e si gode la sua vita senza bisogno di cambiare. Chi invece sta male, chi ha perso le forze che credeva una volta fossero le sue, chi soffre e chi è disperato potrebbe pensare ad un ritorno, ad un ritorno temporaneo in una zona dove ancora oggi regnano altre leggi della vita. Non per escludersi, ma per esporsi ad una natura forte, per aprirsi alle forze elementari e per sfidare un mondo sconosciuto.

 

Qualcuno dice, che la fatica della vita di una volta non lasciava spazio per le favole, perché la gente doveva lavorare per sopravvivere e non poteva permettersi il lusso di sognare e di raccontare le favole. Invece da San Martino (11. 11.) almeno fino alla Candelora (2. 2.) l’attività  della campagna finiva alla sera presto con il calare della luce. Dall’esterno ci si rifugiava all’interno delle case. Nessuno rimaneva nella sua casa da solo: ci si ritrovava in una casa “a veggiar “ insieme con vicini e amici e ci si raccontava, si raccontava il passato, si raccontavano le novità, si sognava un futuro e i più vecchi raccontavano le favole del c’era una volta, le favole che erano un ricordo per i grandi e un divertente mezzo di educazione, di trasmissione dei valori della comunità per i più giovani.

 

Com’è cambiato il tempo però.

 

Il progresso tecnologico del dopoguerra è arrivato anche nell’ubàgu, con un po’ di ritardo, ma si presentò anche qui questo nemico di tutte le favole viventi. Tale progresso cominciò a Montecalvo quando il consorzio dei coltivatori acquistò un televisore che venne messo nella canonica.

 

Tutte le sere - all’inizio soltanto gli uomini, alcuni anni dopo anche le donne - si radunavano “a veggiar” davanti ai programmi televisivi e si raccontavano sempre meno i ricordi e le storie personali, ma si guardava e commentava invece sempre di più “Carosello” e gli spettacoli d’epoca. Ma almeno si radunavano ancora insieme. Con l’avanzamento del benessere venivano acquistati i primi televisori e nella canonica si spegneva a poco a poco la luce delle serate collettive.

 

Oggi perciò alla sera anche qui  ognuno in casa sua accende il proprio televisore e si diverte con le puntate delle telenovele. Le favole sul grande schermo vengono raccontate soltanto in forma di cartoni animati. La vita di una volta è tramontata ed è cominciata una lunga notte. Chi percepisce questa notte come buio profondo, sogna la vita al mare e spera di poter cambiare vita.

 

Chi invece esce di sera con la luce della luna piena come quelli che portavano una volta con i muli la merce quassù, chi si ferma davanti al buio del bosco come quelli che affrontavano la forza della natura con rispetto, chi si siede su una pietra come i pastori di una volta, può ancora oggi sentire le favole che racconta il silenzio.

 

Non percepisce la vita quassù come un tramonto del sole, ma come il sorgere delle stelle:  come l’arrivo di una nuova luce, una luce fine che si riflette dentro di noi. Con le stelle del firmamento possiamo percepire anche la favola della nostra vita che riposa in noi. In questo buio, in questo silenzio si esprime un mondo parallelo, che non è solo un piccolo mondo nascosto dietro la costa, ma anche un mondo grande che si apre dietro l’inganno delle apparenze.

 

Sono rimasti soltanto pochi momenti in cui possiamo oggi trovare questa sacralità, questi momenti sovranaturali che ci parlano di un altro mondo, di un'altra verità, di altre forze umane e sovraumane, che ci raccontano ciò che una volta ci raccontavano le favole.

 

Ma possiamo usare il nostro benessere per cercare ed organizzare ogni tanto uno di questi momenti preziosi, per cercare l’incontro con un mondo che ci rispecchia, una verità che si nasconde nelle apparenze e che si apre nell’ubàgu dietro il mondo della nostra vita quotidiana. Quando riusciamo in questa occasione ad aprirci verso l’ignoto, possiamo scoprire in questi momenti che siamo più piccoli e più grandi di ciò che pensavamo di essere.

 

È più facile perdersi nelle esigenze private, nelle necessità della vita quotidiana, sempre più complessa, sempre più impegnativa che ritrovarsi in un momento di pace, di equilibrio personale. È un effetto negativo, soprattutto per tanti bambini, che non conoscono più la sintonia con l’ambiente, con la natura, con la tradizione.

 

Il “Parco delle favole” è dedicato alla riscoperta dei momenti perduti di un insieme senza pretese, di una sincronizzazione tra tempo e spazio, ora e luogo nella comunità umana.

 

Il “Parco delle favole” è dedicato ad un futuro umano, dove non sparisce il bene del progresso tecnologico, ma viene usato in una maniera creativa e sociale, dove i bambini, gli uomini stessi non diventano vittime e schiavi del proprio benessere, ma possono sperimentare e ritrovare la forza e la serenità di una vita libera e autonoma che nasce dal nostro essere creativo, dalla nostra potenza di creare.

 

Una visita nell’ubàgu del “Parco delle favole” non crea una realtà permanente, non è una possibilità di cambiare il mondo, ma è una occasione di rinforzo, di ricreazione e di ritrovamento del nostro equilibrio interiore come in un oasi verde in città. Quando noi siamo pronti a tacere,  l’ubàgu stesso comincia a parlare nel Parco delle nostre favole.



Paglia ed oro

Paglia e oro

 

 

Cari amici del "Parco delle favole", un brevissimo accenno di fiaba per introdurre un concreto discorso.

 

“C’era una volta un mugnaio, era povero, ma aveva una figlia molto bella. Accade che questi viene a parlare con il Re, e per essere più considerato dice: "Io ho una figlia che può filare oro dalla paglia". Il Re dice al mugnaio: "Questa è un’arte che mi piace!" ...”

 

Come continui la favola dei fratelli Grimm di "Rumpelstilzchen" lo sapete tutti, ma come si svilupperà la storia del "Parco delle favole" non è ancora deciso!

 

Eppure siamo in una situazione esattamente contraria: il povero mugnaio aveva esagerato e metteva nei guai la propria figlia, noi invece abbiamo molti artisti tra noi che sanno più che filare l’oro con materiali ancora più modesti della paglia. Carmen Spigno, per esempio, con la terra pura crea una pittura bellissima e pregiata, per Giuseppe Deperi bastano pezzi di vimini per fare una cesta artistica, Anna Desiderio riesce a far vedere il punto d’oro del mondo invisibile nei suoi mandàla, Franco Grassi fa rivivere gnomi ed elfi in paesaggi da fiaba, altri fanno volare angeli nell’etere... e quanti altri ci sono che possono pure far nascere da un pezzo di pietra un Rumpelstilzchen o da un ferro vecchio un Eisenhans (Gianni di ferro)?

 

Nella realtà di ogni giorno non possiamo ancora spingerci oltre i confini della realtà, ma nel mondo della fantasia invece possiamo pure cominciare a realizzare il "Parco delle favole". Vorrei indurvi a riflettere su come ognuno di noi possa filare dalla sua materia un pezzo d’oro per il futuro "Parco delle favole" e vorrei appellare tutti gli artisti non ancora noti, che conoscono l’arte del “far vedere l’oro dalla paglia” di partecipare con le loro idee e con i loro oggetti a questa iniziativa artistica-turistica.

 

L'idea del progetto aspetta, nel bosco di Borghetto d’Arroscia sulle colline dell’entroterra ligure, di essere svegliata e portata in vita; la “bella addormentata nel bosco” attende principesse o principi creativi e ambiziosi per essere destata dal suo torpore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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